Archivio | aprile 25, 2009

Lo stupro

Navigando su youtube di video in video, arrivo a questo che doveva essere “comico”, e vengo a conoscenza di una realtà sconvolgente.

 

I campi di stupro. Non stupri in guerra, terribili e sconvolgenti, ma comunque attribuibili alla bestialità del singolo, ma sistematica tecnica di guerra, uccidere l’anima, come nella migliore tradizione nazista.

Vado su Google e cerco “campi di stupro”. Arrivo al secondo articolo e cedo, non ce la faccio a leggere. Qualcuno ci dica come aiutare queste donne. Qualcuno ci aiuti ad aiutare l’umanità che subisce ogni forma di violenza.

Vi riporto uno degli articoli letti, [fonte: http://blog.parrocchiatrebaseleghe.org/index.php?p=76&more=1&c=1&tb=1&pb=1 ] dalla quele ometterò i dettagli, visto che la violenza è un cancro universale. Chi fosse interessato all’articolo completo, può leggerlo direttamente dalla fonte.

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Congo, la donna è un campo di battaglia. Lo stupro una strategia di guerra

Riporto questo articolo dal sito del Corriere. Ogni commento personale mi pare superfluo. «Devo proteggermi» sussurra l’uomo in camice bianco. «Ho imparato a essere insensibile per poter curare pazienti che perdono urina e materia fecale dopo che lo stupro di gruppo le ha lacerate. Donne torturate con bastoni, coltelli, baionette esplose dentro i loro corpi rimasti senza vagina, vescica, retto. Ragazze alle quali devo dire: mademoiselle, lei non ha più un apparato genitale, non diventerà mai una donna». Dieci anni fa, una giovane violentata a cento metri da qui si è trascinata da lui. Da allora, nel suo ospedale Panzi a Bukavu, il ginecologo Denis Mukwege ha operato 25 mila vittime di stupri efferati e ne ha medicato altrettante nei villaggi, condannato a leggere nei loro corpi gli scempi di questo cruciale lembo d’Africa, […] sulle rive di un lago beffardamente incantevole a ridosso della frontiera con il Ruanda.

Cinque milioni di morti dal ’98 al 2002, nel conflitto più sanguinoso del globo dopo la seconda guerra mondiale. Poi i ribelli impazziti, i villaggi cancellati, la missione dell’Onu Monuc – la più imponente, con 17 mila caschi blu – capace solo di contare i morti dopo battaglie sbrigativamente attribuite a faide etniche e che invece mirano al controllo di immense e maledette ricchezze minerarie: oro, tantalio, diamanti.

Lo stupro, qui, è l’arma affilata di una guerra che da tempo ha perduto la linea del fronte. La strategia primordiale di tutte le sigle paramilitari […]. Violenza sistematica, compiuta davanti a figli e mariti: annientare le donne è un metodo veloce e sicuro per riuscire a mutilare intere comunità, spaccandole in un’invincibile vergogna.

Corpi sfioriti come quello di Elise Mukumbila, maschera di rughe e livore: nelle credenze tribali, forzare un’anziana porta ricchezza, così i Mai Mai hanno abusato di Elise per mesi, nella foresta a nord di Goma, lasciandole l’Hiv. La incontro a Goma, nel piccolo centro di Univie Sida, associazione locale che convince le donne sieropositive del fatto che la vita può, deve continuare.

E corpi di bambine come Valentine, orfana dodicenne, perché violare una vergine rende immortali. Lei ha perso la parola dopo i ripetuti stupri di gruppo, ha la gonna fradicia di urina per una fistola mai curata: la sorella maggiore vuole nascondere la tragedia agli altri sfollati nel campo di Buhimba, poco lontano da Goma, dicendo a tutti che il sorriso vuoto della bimba non è che una pazzia senza nome.

A Bukavu Janette Mapengo, 31 anni, mi si avvicina zoppicando. Gli otto hutu che l’hanno violentata nella sua capanna costringevano il marito a guardare, per poi seccarlo con una pallottola in fronte ed esplodere su Janette altri tre colpi, appena lei ha osato urlare. Alza la gonna scolorita mostrando l’arto di plastica: all’ospedale Panzi le è stata amputata la gamba destra maciullata dagli spari.

Janette piange piano: «Sono inutile».

Françoise Mukeina ha 43 anni, undici figli, occhi color miele: «Cento hutu ci hanno prese in otto dal villaggio, a Shabunda, tenendoci schiave nella foresta per due anni, nutrite con gli avanzi, violentate a turno ogni giorno, marchiate col fuoco. Quando mi hanno mandato a fare legna sono fuggita. Ho dolori che non finiscono mai ma ringrazio Dio: io sono viva, le altre no». […].

Ma per ora, qui, domina l’impunità: […] «Sta per arrivare un inviato della Corte dell’Aja» rivela. «Dovrà capire se esistono prove sufficienti a denunciare per stupro i signori della guerra».

Delle 58 condanne eseguite a Bukavu nel 2008 (su 353 denunce), solo 9 riguardavano militari, ma rispondevano anche di altri delitti. «Se a soffrire fossero gli uomini e non le donne» dice sommesso il dottor Mukwege «la comunità internazionale avrebbe già trovato una soluzione».